Sunt lacrimae rerum

13 Maggio 2013 – 29 Settembre 2013

Fondazione Sandretto Re Rebaudengo

La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo presenta Sunt lacrimae rerum: una selezione di opere della Collezione Sandretto Re Rebaudengo.

La mostra propone un focus sulla scultura contemporanea intesa sia come medium, sia come strumento per esplorare il mondo degli oggetti, e le particolari relazioni che intratteniamo con le cose. La citazione dell’Eneide che dà il titolo alla mostra sottolinea il carattere malinconico che spesso caratterizza questo rapporto, il senso di desiderio e di perdita che deriva dall’associazione tra gli oggetti e la memoria del passato. Allo stesso tempo, le parole che Virgilio fa pronunciaread Enea, letteralmente traducibili con sono le lacrime delle cose, insinua l’idea di una emotività degli oggetti, di una inquietante vitalità presente nelle cose inanimate, come se queste non fossero solo guardate, ma potessero restituire lo sguardo.

Artisti in mostra:

Martin Boyce (Scozia, 1967) crea malinconici poemi visivi, il cui vocabolario deriva dalla storia del design e dell’architettura modernisti. Gli oggetti di cui si appropria, spesso classiche icone del design, sono privati di una funzione d’uso, e nella complessa manipolazione dell’artista sono trasformati in oggetti carichi di simbolismo, un portato politico edestetico che viene posto in relazione con il presente.

Il rapporto tra oggetti, corpo e spazio è al centro del lavoro di Markus Schinwald (Austria, 1973), che dà vita a immagini conturbanti e situazioni surreali. Nella sua ampia produzione di sculture, installazioni, video e dipinti, l’artista ritorna spesso al tema del feticismo, la proiezione di un desiderio sessuale su parti del corpo inusuali e oggetti inanimati. Forma, materialità e composizione divengono gli strumenti per esplorare le ambigue dinamiche del corpo e della passione.

Trisha Donnelly (USA 1974) crea lavori dominati dall’enigma, difficili da definire, sospesi tra figurazione e astrazione, travisibile e invisibile. Anche quando saldamente scavate in materiali pesanti come il marmo, come nel caso del lavoro in mostra, le sue opere sono sempre evocative di uno spazio altro: apparizioni e reperti di un mondo dimenticato che riaffiora, rappresentazione di forze ineffabili e impercettibili, al di là del visibile, eppure potenti nel dare forma allo spazioin cui viviamo.

Alex Hubbard (USA 1975) mette in scena l’atto artistico, proponendo uno sguardo ironico sulle regole e il linguaggio scultoreo. La sua opera è una video-scultura, in cui diversi oggetti comuni divengono gli attori di un piano sequenza che ruota attorno ad un piedistallo usato come palcoscenico. L’artista indaga l’estensione massima delle possibilità plastiche fino a costringere questi suoi sforzi nella piattezza di uno schermo al plasma.

La ricerca di Klaus Weber (Germania 1976) si concentra su quelle forze naturali e principi generali, di ordine scientifico e culturale, su cui si basa la società, assunti condivisi che l’artista insidia mettendo in gioco forze contrapposte, irrazionali o arcaiche, quali animismo, sciamanesimo, riti pagani. Mortalità e memoria sono al centro dell’installazione in mostra, una serie di 32 maschere mortuarie, ritratti di personaggi del passato o del presente, reali o immaginari, un catalogo inquietante e commovente della natura umana.

Le fotografie di James Casebere (USA 1953) trasportano lo spettatore in ambienti architettonici ambigui e surreali. L’artista sfrutta le capacità del mezzo fotografico di costruire un senso di veridicità al fine di far riflettere sulla dimensione fittizia della realtà stessa. Oggetti delle sue rappresentazioni sono sempre modellini da lui realizzati, versioni ridotte e posticce di ambienti inventati eppure plausibili, come nel caso del paesaggio roccioso di Needles, un mondo ambiguamente sospeso tra natura e biologia, tra organico e inorganico.

Anche nel lavoro di Becky Beasley (Uk 1975) il rapporto tra scultura e fotografia è un tema centrale. Qui lo sguardo fotografico si ferma su oggetti di uso comune, di cui vengono moltiplicate prospettive e modalità di esistenza, anche in riferimento a una fitta trama di rimandi letterari, incentrati sulla storia dell’arredamento e del design. Gli oggetti che fotografa sono infine distrutti, facendo delle foto la testimonianza presente di un’assenza, la persistenza del ricordo di cose che non esistono se non in queste immagini.