Andra Ursuta
Vanilla Isis
A cura di Irene Calderoni
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
2 novembre 2018 – 31 marzo 2019
Le opere di Andra Ursuta (Romania, 1979) affrontano temi controversi e scomodi con un linguaggio che impiega i registri del grottesco, del tragicomico, del satirico. Le sue opere spesso prendono spunto dalla realtà, da fatti di cronaca o da memorie personali, per riflettere su stereotipi culturali, relazioni interpersonali e dinamiche violente, sia da un punto di vista fisico che simbolico. Vanilla Isis getta uno sguardo irriverente sugli estremismi, veri e presunti, che si manifestano in contesti molto diversi fra loro, dai gruppi terroristici alle sottoculture giovanili. Partendo dall’analisi delle strategie comunicative dello Stato Islamico che, grazie alla sua conoscenza di Internet, si appropria di qualsiasi cosa, dai videogame ai poster dei film hollywoodiani, allo scopo di attirare la gioventù più vulnerabile dei paesi occidentali, la mostra osserva il modo in cui le tendenze estetiche migrano e si trasformano, o vengono sfruttate, con effetti bizzarri e inquietanti. Passando in rassegna l’immaginario
utilizzato dall’Isis per fare proseliti, le opere in mostra esplorano la miscela di propaganda, seduzione e machismo di cui è fatto il linguaggio di reclutamento che l’Isis rivolge al pubblico estero. La mostra si concentra sul punto di vista dei giovani stranieri, impressionabili e insoddisfatti, la cosiddetta gioventù “alla vaniglia”, ed evoca un oscuro sistema di intrattenimento, dotato di una specifica musica, e di un’attrezzatura sportiva, che confondono il giocoso e il bellicoso, il divertente e il letale, rendendoli indistinguibili. La musica è una cover del brano dei Sex Pistols Anarchy in the UK, reinterpretata secondo lo stile degli inni dell’Isis, con parti vocali molto elaborate e stratificate; l’attrezzatura sportiva è rappresentata da Stoner (2013), un lancia-palline da baseball modificato, che scaglia pietre contro muri di mattonelle color carne livida. Qui la bandiera dell’Isis, icona finto-primitivista dell’ansia contemporanea, è riproposta in
chiave assurdista, sotto forma di una serie di gonfiabili da piscina su cui, al posto di una proclamazione di fede, è riportato il ritornello di una canzone dei Guns’N Roses, Welcome to the Jungle, dall’album Appetite for Destruction: “Welcome to the jungle/ Watch it bring you to your/ Shana… knees, knees/ I wanna watch you bleed” [Benvenuto nella giungla/ Guarda come ti mette
in/ Shana… ginocchio, ginocchio/ Voglio vederti sanguinare]. Il linguaggio degenera in una vocalizzazione ripetitiva e priva di senso, posta a ornamento di oggetti per il tempo libero sgonfiati, che farebbero andare a fondo chiunque vi si accomodasse sopra. L’autorità della bandiera si sgonfia ulteriormente nei dipinti in cui diventa il logo del gruppo punk Black Flag, disegnato da Raymond Pettibon, o addirittura si disintegra in una nebbiolina grigiastra, fluttuante al centro di una tela bianca. Uno stadio ancor più avanzato di deterioramento si evidenzia in due sculture fuse in alluminio, che propongono calchi logori, sfatti e ondulati di bandiere a mo’ di sedie – sorta di tappeti volanti decrepiti per
viaggi solo immaginati, o per un volo senza ritorno.
Si ringrazia Massimo De Carlo Milan/London/Hong Kong
The information was successfully sent
There was an error while sending a message