La Fondazione presenta, nell’area bookshop, dal 15 aprile al 12 maggio, “The Time Lapse” di Patrizia Mussa.
La serie intitolata “The Time Lapse” di Patrizia Mussa, pur essendo fotografia, ci porta oltre la fotografia. Sotto l’azione della sua mano pittorica, attraverso un trattamento eseguito con
pastelli e acquerelli, le fotografie si emancipano dalla loro natura meccanica e diventano corpi ibridi la cui essenza impercettibile si pone sul limite di quella soglia che separa, come vuole Walter Benjamin, l’opera provvista di una propria aura dall’opera meccanizzata e potenzialmente ripetibile identica all’infinito.
Ogni singolo scatto dei teatri di Mussa diventa una domanda posta al nostro occhio, un enigma linguistico che anche una volta svelato (vi può indicare dove ha operato con il colore e con la mano) non perde quella sua particolare auraticità. Potere della pittura, forza disoggettivante di una fotografia che non si raccoglie su se stessa ma va oltre, in cerca di un rapporto proficuo con la pittura. Nella loro assoluta unicità, ogni fotografia viene prima stampata nelle modalità più consone ad esaltare le qualità della singola immagine quindi viene dipinta in modo quasi impercettibile ma significativo al fine di trasformare la fotografia di una realtà data in una visione sottilmente onirica, umilmente grandiosa e capace di esaltare con forza straniante la verità di luoghi che sono come oasi dell’immaginario collettivo della nostra civiltà e che giungono a noi, intatti o meno, per contribuire alla costituzione del nostro DNA culturale.
In questa serie Patrizia Mussa crea un ritratto molto personale di luoghi che hanno segnato la storia dell’architettura e della cultura: teatri sorti dentro prigioni e commissionati dalle
nascenti Accademie rinascimentali per insegnare le nuove scienze; teatri voluti da duchi per celebrare con fasti barocchi la visita di altri regnanti; teatri sorti come luoghi effimeri, usati nei secoli per poche recite e mai smantellati (fortunata inerzia storica); teatri sorti in continuità con gli studi antichi di Vitruvio, abitati da statue di dèi scomparsi e da nuove muse.
Nell’area bookshop di Fondazione Sandretto Re Rebaudengo sono presentate opere del 2018 – 2019 (alcune inedite) che ritraggono: il Teatro Farnese di Parma, il Teatro Olimpico di Vicenza, il Teatro all’Antica di Sabbioneta, il Teatro Regio di Parma ed il Teatro Scientifico di Mantova. Per raccontarli, Patrizia Mussa usa un linguaggio fotografico che appare a un primo sguardo di matrice oggettivante e caratterizzato da luce naturale, visione frontale,
messa a fuoco totale, attenzione per il particolare, presenza di dettagli, tutto compreso dentro una “narrazione” calibrata, razionale, cristallina, onnisciente, onnipervasiva, onnivora, ma anche armonica, serafica, chiara, luminosa e netta. Tutto questo vale però esclusivamente per la fotografia che sottende l’immagine finale e che fa da supporto ad uno slancio di visione atto a recuperare il senso di una unicità che sembrava destinata a perire
sotto i colpi inferti dal mezzo di riproduzione meccanica dell’opera d’arte. La fotografia è dunque la base (volendo, già autonoma) su cui Mussa costruisce una visione che è guidata
e vuole esaltare ulteriormente la plasticità del luogo. Se la fotografia scopre una data realtà, l’intervento pittorico la rilegge e la riscopre attraverso un’operazione di nobile “maquillage” che, richiamando le pratiche di coloritura a mano dell’epoca del bianco e nero, trasforma l’opera in un’autentica immagine mentale, una proiezione idealizzante e idealizzata di quello che potrebbe e dovrebbe essere il luogo “teatro”. Un luogo che per millenni ha accolto la rappresentazione non soltanto del mondo umano ma anche di quello divino. Le storie che in esso si sono consumate e perpetrate per generazioni hanno innervato di ideali e miti il nostro sistema nervoso condiviso, alimentando un rituale di “rispecchiamento” che, insieme a quello religioso, rappresenta forse il Leitmotiv di una storia ripetuta nella diversa sedimentazione delle epoche.
A questi corpi pieni di storie passate e in attesa di storie a venire, Mussa dedica una serie fotografica che va oltre ogni idea di “serie” e di “fotografia”. Sono in realtà ritratti unici e
personali di luoghi affrontati come se fossero volti di persone ricche di un’anima, dotate di una psicologia sfaccettata e di una storia di vita che sta a noi, partendo dalle opere di Patrizia
Mussa, riscoprire, ristudiare e far rivivere.
di Nicola Davide Angerame
Patrizia Mussa vive e lavora tra Torino e Parigi, laurea in Filosofia e specializzazione in Antropologia Culturale a Paris-Sorbonne. Picture editor per Studio Livio e consulente per la
fotografia europea per la Pacific Press Service di Tokyo. La serie “The Time Lapse” dedicata ai Teatri Italiani, inizia nei primi anni 2000 ed è esposta per la prima volta all’Ambasciata Italiana di Parigi nel 2009. Nel 2006 espone a La Maison Européenne de la Photographie de Paris con una personale “La Buona Ventura” durante l’estate dedicata alla f otografia italiana. Nel 2008 inizia il progetto “Le Temple du Soleil”, uno sguardo particolare sull’architettura dell’utopia dell’architetto filosofo francese Jean Balladur, esposto nel 2013 a Palazzo Morando Museo della Moda e del Design di Milano, nel 2014 a Villa Savoy-Le Corbusier
Poissy Paris e nel 2015 ai Lichfield Studios, la galleria di Jean-Michel Wilmotte a Londra. Nel 2016 prende forma la serie “Warless Theatres”, progetto selezionato per La Biennale de la Photographie du Moyen Orient 2019 che si svolgerà a Parigi, da settembre a novembre, all’Institut du Monde Arabe e a La Maison Européenne de la Photographie. Immagini dell’Afghanistan, Yemen ed Etiopia, realizzata quando ancora questi luoghi erano accessibili,
riserve di cultura e di risorse, oggi riletti con nuove sequenze e cromie inedite realizzate con la coloritura a mano. Le sue fotografie sono state esposte e fanno parte delle collezioni di importanti musei quali il Museum of Photography di Mosca, la Maison Européenne de la Photographie di Parigi, il Palais des Beaux Arts di Lille e sono presenti in collezioni pubbliche e private in Europa e negli Stati Uniti.
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