Here Not Here
Josephine Baan, Emma Brasó, Emily Fitzell, Constantinos Taliotis, Jérôme de Vienne e Stephanie Winter
OPENING
5 / 06 / 19
h. 19.00
h. 18.15 - 19.15
Tavola rotonda Returning from no/where con gli artisti Josephine Baan, Emily Fitzell, Constantinos Taliotis, Jérôme de Vienne and Stephanie Winter – moderata dalla curatrice Emma Brasò.
h. 19.45 - 20.30
Performance
Versed in the Void di Josephine Baan, performance con Amos Cappuccio e Chiara Cecconello.
5 giugno - 7 luglio 2019
a cura di
Michele Bertolino
Fondazione Sandretto Re Rebaudengo
La Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ospita Here Not Here, ultimo appuntamento dell’edizione 2018-19 di The Institute of Things to Come, programma itinerante, fondato nel 2017 e curato da Valerio Del Baglivo, che indaga forme di immaginazione speculativa nelle contemporanee pratiche artistiche e curatoriali – attraverso un ciclo di mostre, performance e un programma educativo. Il tema dell’attuale edizione, TERRA INCOGNITA, è ispirato al libro del sociologo Albert Meister, Sotto il Beaubourg (1976), nel quale un autore inventato, Gustave Affeulpin, descrive la vita di un museo immaginario, polo di controcultura, al di sotto del Centre Pompidou. Questo riferimento è il punto di partenza per riflettere sull’esistenza di territori fittizi inventati da artisti, paesaggi metaforici o letterari nei quali forme di sovversione, anti-autoritarismo e utopia confluiscono insieme.
Durante l’anno di attività, i sei Associates – gli artisti Josephine Baan, Emily Fitzell, Constantinos Taliotis, Jérôme de Vienne e Stephanie Winter e la curatrice Emma Brasó – hanno partecipato a un programma di workshops pensati per speculare sulla natura fittizia della data realtà – il programma è supportato da Formech Inspire. Here Not Here presenta i reperti e i cimeli di questo processo.
Qui incontriamo una collezione di frammenti, raccolti in uno spazio inusuale – un non-luogo con confini porosi e punti cardinali introvabili. Il soffitto è stato abbassato, la luce è soffusa. La sala è compressa, la vista è compromessa, il suono disperso. La percezione è distorta. Eppure, alcuni scorci mostrano il mondo esterno, al di sopra. Non ci è dato però sapere dove siamo.
Si perdono i comuni appigli d’orientamento e sono le opere a fornire alcuni suggerimenti. In Quartet (Constantinos Taliotis, 2019), una video installazione coreografata su quattro schermi, alcune immagini dallo statuto ambiguo, fisse ma impercettibilmente in movimento, ritraggono soglie ed entrate di alcune ville torinesi. La misteriosa lentezza delle riprese richiede un’osservazione attenta, offre il tempo per meditare sulla finzione dello spazio.
INTERRE | UNEARTHS (Emily Fitzell, 2019), ricorda e distorce le antiche strutture per rituali. Un cerchio di 12 cubi riconfigura la forma e la funzione dei primi luoghi di aggregazione sociale – le pietre monolitiche e immutabili sono sostituite dalle composizioni modulari e materiali di mattoni per costruzioni. A loro volta, ciascuno di questi cubi conserva tracce di detriti terrestri – frammenti che resistono la singolarità e la reclusione dei reliquiari. Quasi miniature architettoniche, piccoli templi, ciascuno degli elementi opera tra il gioco e la supplica, la memoria e l’immaginazione.
Versed in the Void (Josephine Baan, 2019), articola l’impossibilità di disegnare un futuro in comune. L’assenza diviene punto di partenza, la voce, come presenza, è l’interiorità del corpo che si materializza nello spazio; la bocca è passaggio tra l’interno e l’esterno. La potente oscurità lascia il posto all’emersione della luce. Le tracce e i frammenti dispersi nella stanza significano gesti già accaduti, indicano parole sussurrate. Raccontano anche di mondi interiori – che devono essere esplorati, senza che sorga il desiderio di trovarne la posizione geografica.
The Blue Space Station (Stephanie Winter, 2018) presenta testimonianze del White Planet, un mondo immaginato, punto d’arrivo di M.I.S.S. – MY INTERN(ATION)AL SPACE STATION, veicolo destinato alla ricerca creato da Winter & SALON HYBRID. M.I.S.S. è anche il titolo di una serie di performance che descrivono l’esplorazione di questo pianeta, fonte e memoria di tutte le informazioni, organo comune e spazio di proiezione per differenti idee e progetti riguardo al futuro: un mondo rivelatosi contemporaneamente interno ed esterno i propri osservatori. Così, il viaggio nello spazio è divenuto un percorso di autocoscienza nella propria psiche.
In Speculare (Jérôme de Vienne, 2019), un raggio di sole – catturato da uno specchio posto nel giardino antistante l’edificio della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo – entra in questa dimensione altra e scardina ancora una volta le distorte percezioni spazio-temporali.
Here Not Here è un mondo speculato, fatto di sottrazioni, scorci, sovrapposizioni, richiami e sotto-testi irrisolti, un luogo di riflessione che devia la nostra attenzione e resiste ad ogni immagine che lo comprenda in uno sguardo.
Poco prima dell’opening, la curatrice Emma Brasó modererà una tavola rotonda, all’interno dello spazio espositivo. A ciascuno degli artisti, Brasó ha richiesto di presentare un episodio o un’immagine della terra incognita che hanno potuto visitare.